03 aprile 2008

Pater et Mater

Lo sapevate che dal 2007 nel calendario è comparsa una nuova festività?

E’ il giorno del riposo assoluto, ma non quello dei lavoratori, solo quello dei genitori; è il giorno in cui a lavorare ci vanno solo le baby-sitter senza figli.

Quel giorno (ognuno decide quale, basta che ci sia) è festa grande, della serie che il giorno prima le madri vanno dalla parrucchiera, i padri lavano la macchina e gonfiano le gomme, mentre il giorno dopo l’umore è così alto che ci si dimentica di timbrare il cartellino, fare il pieno, pagare le bollette.

Il giorno del riposo assoluto è un giorno speciale: è composto da 60 ore e ogni ora da 150 minuti.

Quel giorno, oltre a capitare le cose più eccezionali dell’anno, succede pure che si avverano i desideri più profondi e nascosti nel cervelletto di ogni genitore, ovvero capita che i figli spariscono come il capitano Kirk dell’ Enterprise al comando: “teletrasporto!” e le baby-sitter chiamano al cell per dire che va tutto bene e la bimba sta guardando cenerentola sul monitor LCD.

Il giorno del riposo assoluto capita addirittura, ma non sempre, che i genitori decidano di fare un altro figlio, perché in questo giorno speciale anche la memoria va in vacanza e non si ricorda più nulla….il vuoto, l’amnesia totale…

In questo giorno benedetto i genitori infine dimenticano i “pochissimi” lati negativi dell’essere pater e mater, tipo non poter mangiare la Nutella col badile e dover rispettare i limiti di velocità in autostrada e in prossimità delle scuole.

Beh, ora sarò cattivissimo e ve lo dico: questo giorno non esiste!!!!!

L’essere genitori è una specie di schiavitù in regime dittatoriale e le ore lavorative son 24, tutti i giorni, perché se ne salti una rischi l’innesco della bomba atomica modificata all’uranio arricchito di plutonio barico acidissimo.

E gli effetti devastanti te li ritrovi per sempre in mutazioni genetiche incontrollate di casa, auto, giardino, udito, nervi affioranti e ulcere dolorosissime…

Ma….c’è sempre un ma in tutte le storie…ma è inutile che vi dica che basta un sorriso della belva, un bacio del figlio coguaro, una carezza della strega che subito vi si apre il cuore e tutte le ingiustizie e sofferenze vengono cancellate e un grande cuore ricomincia a splendere sopra il focolare domestico.

Tutto questo è un discorso generale, ovviamente.

Diverso è il Nostro discorso. Quello mio e di Simo che, chiusi nei 20 metri quadri di Kudra in compagnia dell’”essere”, persi tra le isole disabitate non possiamo nemmeno scendere al bar sottocasa per comprare le sigarette.


L’essere….dovrei studiarne l’etimolgia, probabilmente.

figlio/figlia=essere/sarà=totale/centrogravitazionale=buconero/bigbang=genesi/apocalisse

Quello che è certo che la sirena dei pompieri è la registrazione della normale voce di nostra figlia Greta.

Ehhhhh si!!! Si fa presto a dire Greta!!!

Baronessa, contessa, regina dei mari Alfonsina Gretoletti, signora indiscussa del canto e catalizzatore supremo…basta un suo sguardo e la resina si indurisce sul pennello!

Dovete scusare questo mio sfogo, ma sono ancora un genitore novello/pivello. Sono passati solo 1 anno, 1 mese, 4 giorni, 18 ore, 13 minuti, 56 secondi, 874 millesimi da quando sei venuta alla luce in quella bellissima serata in Martinica, all’ospedale di Lamentin che, voglio dire, nessuno mai mi toglierà dalla testa che va tradotto in “lamento bestiale e ininterrotto”…

I genitori più esperti già staranno pensando: “ 13 mesi… cammina…dice almeno 10 parole oltre a mamma, babbo e pappa…ha 4 denti sopra e 6 sotto, risponde ai comandi fondamentali…”

Macchè!

Sarà la vita in barca, lo iodio, il codice genetico alterato dal buco dell’ozono, ma ve lo devo dire, la realtà è ben altra:

punto primo: non cammina. Sta in piedi 10 secondi al massimo, poi parte in quarta a gattoni, destinazione sconosciuta.

Punto secondo: non parla. Ha imparato i versi di tutti gli animali dello zoo, il rumore del motore del tender e degli aerei, ma di dire babbo neanche l’idea.

Punto terzo: denti?!?!?. Naaaaaaaa….. beh i denti le stanno spuntando, ma non so se dovrei dirvelo…ok, ve lo dico…la piccola ha solo i 2 canini superiori. Vi prego non passate subito alle conclusioni!

Il nostro amico Ale, dentista, l’ha visitata e dopo il 3° morso era ancora vivo e nemmeno tanto mannaro.

Chi ben comincia…

Veniamo alle cose più belle di lei:

Mangia come un lupetto e dorme come un ghiro. 11 ore filate, tutte le notti, senza fare una pence.

Quando dorme…è così bella che ne vorrei altri 3, di figli.

Peccato che non la vediamo mai dormire, perché quando la baronessa schianta sul letto a 3 piazze che le compete i qui presenti genitori Matte e Simo schiantano a loro volta per la stanchezza!!

E non ditemi che è il windsurf!!

Certo questo fatto dello stare in barca, lontano dalla terraferma, dal parentame, asilo, scuola e bar-tabacchi mi ha fatto capire il ruolo dei nonni.

Permettete l’analogia… il figlio/figlia sta alla pentola a pressione come i nonni stanno alla valvola di sovrapressione.

Sono ingiusto?? Si si si! Mi sfogo, almeno ora che ancora la belva non riesce a formattare l’HD!!

E meno male che con noi ci sono sempre Moni e Ale, che fanno un po’ da baby-sitter, un po’ da confessori e da spalla su cui versare qualche lacrimuccia!!

Concludo con un piccolo elenco di cose che la piccola ha imparato in 13 mesi:
. accendere la radio e ballaree
. jettare ogni cosa dall’oblò vista mare
. timonare
. usare il VHF
. nuotare con la ciambella
. infilare i piedi nei pannolini sporchi
. pisciare in ogni angolo della barca
. riconoscere il barattolo della Nutella!

E ora vi saluto che ho finito il mio bonus di tempo…la Simo ha bisogno di una sostituzione sul campo di battaglia!

Buon vento a tutti!!!

Matteo

Windsurf

Potrei cominciare questo post con la morale della favola: è tutta colpa di Fabio

Si, perché è lui che in queste settimane insieme (e anche dopo la sua partenza per l’Italia) ci ha innestato nel cervello il pensiero fisso del windsurf.

Da bravo sportivo ed ex surfista professionista ci ha mille volte emozionato con ragionamenti su strambate, metraggi di vele e planate tra i meravigliosi reef.

Ogni volta la stessa solfa: “ ma guarda sto posto che spettacolo! Peccato non avere un windsurf a bordo, ora sarei fuori a 20 nodi, vento nei capelli incontro alle onde oceaniche!”

Dai una, dai 2, dai n volte…cominciamo (io per primo) a capire che una vita senza windsurf non val la pena viverla…

Quando alla fine lo salutiamo all’aeroporto di Gran Roques i lacrimoni sono suoi, che avrebbe voluto (ma i tempi non ce l’hanno permesso) sbarcare sull’unica isola (Francisquis) con centro di noleggio tavole e sfondarsi i muscoli in un cazza-cazza-cazza, orza-orza-orza a velocità prossime a quelle di decollo di un Tornado.

Caro Fabio, il destino è stato veramente subdolo e ingiusto con te.

Si perché a meno di 40 ore dalla tua partenza il sottoscritto e Ale eravamo perl’appunto impegnati con tavole e vele nel posto più bello che abbia mai visto per tale attività sportiva

Ed è solo l’inzio.

L’adrenalina prodotta dalle prime ore di surfate mi convince che l’equipaggio di Kudra deve salire a quota 4: io, Simo, Gretoletti e Fabio (così sogno di chiamare la mia prima tavola a vela).

Parte la ricerca: al centro di noleggio il buon Fernando ci mette in comunicazione con tal Oscar, surfista convinto che ha un negozietto per turisti a Gran Roques.

Mi catapulto sul posto ed ecco la sorpresa: effettivamente Oscar ha una vela (buona, 6.9m quadri) e una tavola che è tutto un programma.

Si tratta di un prototipo da slalom, in carbonio, talmente leggera che chissà dove mi porterà. E’ un po’ giù di tono, così piena di ammaccature mal riparate ma Oscar mi convince all’istante, bastano due parole: Ferrari e Gratis


Fernando penserà a fornire il resto dell’equipaggiamento (albero, boma, piede, pinna, trapezio), un po’ ce lo vende, un po’ ce lo presta…

Giunge infine il gran giorno. Mi sembra di festeggiare st.Lucia, Natale, Compleanno, onomastico e acciacchi del Berlusca tutto insieme.

Monto l’attrezzatura, salgo sulla Ferrari e via!!!

Abbbellloooo!!!! Ma via dove???

Il primo bordo: 2 metri

Il secondo: 3,15 metri

Il terzo: 5 metri

Il 4° non c’è, mi tocca tornare in barca tutto spaccato per le legnate che prendo cadendo in acqua ogni 2 secondi netti.

Ma il sorriso continua a paralizzarmi i 54 muscoli facciali.

Insomma, a furia di tentativi riesco, nei giorni seguenti, a domare la Ferrari che però non ne vuol sapere di rimanere entità unica e indivisibile.

Ha una strana tendenza a frantumarsi in mille brandelli.

Vabbè, direte voi, Matte ha riparato barche grandi, affondate, costruito sommergibili e space shuttle, saprà ben riparare una tavoletta da gioco!

In effetti ci ho provato, più di una volta, ma dopo aver perso la prua, ricostruito la scassa della pinna, toppato buchi grandi come carie di un mammuth, ho deciso che la Ferrari/Fabio la tengo come…beh, non saprei come.

Scusa caro Fabio, non sentirti offeso, ma è come se tu pesassi 15 kg. Saresti un po’ deboluccio, no?

In ogni caso il mio affetto per Fabio (non tu, la Ferrari) cresce di giorno in giorno, il feeling anche, le velocità pure.

Insomma mi son preso delle belle soddisfazioni!

Te ne dirò un’altra, caro Fabio. Il nostro rapporto in realtà è a 3…non fraintendermi, non ti tradirei mai, ma al nostro gioco di coppia si è subito unito Ale, che ti ha usato e abusato più e più volte quando non ne potevo più di te!

Hai fatto felici 2 ragazzi che in questo modo si son resi conto che la schiena è un bene prezioso e da salvaguardare…

Chiudo questo papiro con una riflessione: quando io e Ale ci troveremo, pensionati in baita in val brembana, a parlare delle nostre ernie in compagnia di una grappetta, diremo all’unisono “è tutta colpa di Fabio!!!”

Los Roques

Ciao a tutti

A 2 mesi dal precedente post vi chiederete che fine abbiamo fatto e perché non abbiamo pubblicato più nulla. Beh, la pigrizia e l’assenza cronica di internet ci hanno un po’ tagliato le gambe…

Ma veniamo al dunque, perché mi prudono i polpastrelli e ho tante cose da raccontare.

Lasciata P.to La Cruz subito dopo l’avventura in Gran Sabana, Kudra e Nicolandra hanno messo la prua su Tortuga, dove eravamo già stati e dove siamo rimasti qualche altro giorno per godere appieno dei meravigliosi cayos Herradura e Tortuquillos.

A bordo di Kudra ci siamo sempre noi tre e…il mitico Fabio, che ancora una volta è riuscito a sganciarsi dagli impegni e si unito a noi.

Fatto il pieno di bagni e di sole ci apprestiamo alla “lunga” navigazione che ci porterà a Los Roques, una delle ultime meraviglie del mondo marino. 100 miglia facili, al gran lasco, che maciniamo in una quindicina di ore. Al mattino siamo in vista del “lato” sud, che lasciamo scorrere sopravento.


Los Roques è un arcipelago corallino molto esteso e variegato, decine di isole basse e da sogno e una vastissima zona non navigabile per i bassi fondali non cartografati.

Paradise…ma il pericolo è sempre in agguato, per navigare in sicurezza è necessario avere sempre il sole alto e possibilmente alle spalle, per capire dai colori dell’acqua dove sono i pericoli sommersi.

Poche altre miglia e comincia dunque il gioco degli allineamenti e della navigazione a vista.

Atterriamo nella parte sud ovest dell’arcipelago, a dos Mosquitos, ma una barra di corallo invisibile di un miglio ci taglia la strada e bisogna sperare che l’allineamento segnato sulle carte sia corretto per centrare i 20 metri di pass… bussola inchiodata sui 60°, prua su due palme spelacchiate, sole basso e in faccia, esattamente come non si dovrebbe fare…quindi proseguiamo fiduciosi e centriamo il passaggio…welcome to Los Roques!

Da questo momento in poi il tempo diventa una dimensione talmente approssimativa da essere dimenticato: l’unico punto fermo sarà la data di sbarco di Fabio (tra 5 giorni!) che deve volare da Camilla e dalla sua barca “Yemanja in blu”. Per il resto Los Roques sarà un capitolo della nostra vita che a dire il vero non si è ancora concluso.

Da dos Mosquitos in poi le giornate si susseguono, morbide come un materasso in lattice, tra albe e tramonti, piccole navigazioni, pranzi e cene da leccarsi i baffi, cambi pannolini, bagni, esplorazioni di reef, monitoraggio denti Greta, risate in compagnia e tanti tentativi di pesca…a vuoto.

La pesca a vuoto è una tecnica sofisticatissima che abbiamo affinato nel tempo. Consiste nel fare di tutto per pescare il nulla assoluto. Bisogna essere molto bravi, precisi nel preparare lenze ed esche, naturalmente ci vuole anche una buona dose di fortuna, perché pescare niente è difficilissimo!

Con poca modestia posso dire che nel tempo abbiamo acquisito una sensibilità tale da ritenerci ormai degli esperti. I record si sprecano, e i mesi passano senza che alcun pesce arrivi nel pozzetto di Kudra.

Ma torniamo a noi.

Lasciati i dos Mosquitos comincia la lunga serie di nomi esotici: Cayo de Agua, Carenero, Sarqui, Espequi, Noronquises, Crasui, Francisquis…

3 giorni qui, 4 la, poi un po’ più a nord, quindi qualche giorno a Gran Roques (l’unica abitata e con copertura telefoni, internet, supermercati…); e di nuovo a sud, poi a ovest ecc ecc…

E una volta viste tutte? Beh, non resta che ricominciare, perché è difficile stancarsi di questi posti.

A variare un po’ la routine di Kudra e Nicolandra ci pensa DamishaRidda, la barca di Patrizia e Guido, che Ale e Moni avevano conosciuto ancora in Italia e che avevano reincontrato non ricordo dove.

La flotta sale quindi a 3 barche, e aumentano in proporzione anche i pranzetti e gli spunti culinari da approfondire.

Solo l’aspetto culinario meriterebbe molti post! Non vi dico, tra pasta fresca, gnocchi, torte, pane, pizze, sformati, carpacci, sushi-sashimi, e quanto di più buono può venirvi in mente!!!

Ci viziamo e straviziamo: Simo, Moni e Patrizia che fanno a gara a chi consuma più gas!

Vediamo ora la giornata tipo di questa banda di barcaioli:

Sveglia: Kudra alle 7 con sirena da nebbia, resto del mondo…quando capita.

Colazione: verso le 8, ma le donne sono spesso a terra per lezione di Yogurt…oppps, Yoga.

Liberi tutti fino alle 12

Pranzo: in compagnia oppure ognuno per se ma…fornelli accesi, vino in frigo, aperitivi pronti in pozzetto

Opzione A (ognuno per se): pranzo leggero per agevolare il bagno pomeridiano

Opzione B (tutti insieme): pranzo medio/pesante, 3 portate, caffè, ammazzacaffè, lavatazzina e programmazione del menù serale

Dopopranzo: pennica sindacale per tutti (su Kudra solo se la contessa Alfonsina Gretoletti schianta prona almeno una mezzora)

Pomeriggio: liberi tutti con opzione esplorazione reef

Tramonto: aperitivo imperiale collettivo.

Cena: all-together-now dopo le 8 (Greta si stacca come un salvavita e concede serata libera) e riempimento stomaco della serie: fin che ce n’è, viva il re!

Dopocena: degustazione di rhum ed eventuale proiezione film (tra le tre barche abbiamo probabilmente oltre 400 films)

Potete ben capire che con una vita così intensa alle 10 siamo tutti con l’occhio pallato a mezz’asta sognando la branda…

La svolta nei ritmi di vita si è avuta quando abbiamo deciso di cambiare tecnica di pesca e di passare dal nulla al qualcosa… ore ed ore di interminabili riflessioni su quale esca, quanta lenza, probabilità di catturare le prede.

Sono quindi cominciate le uscite, mattutine e serali, a bordo di uno o due tender, finalizzate esclusivamente alla pesca.

E finalmente, dopo circa 30-40 litri di benza consumati per nulla, abbiamo capito che le esche erano troppo grosse. A questo punto Guido ha sfoderato una scatoletta con gli ami giusti. Abbiamo avuto allora i primi risultati: pochi piccoli infanti di pesciolini rossi…buonissimi!!!

Non mettetela sull’etico/sportivo, per favore. Eravamo in astinenza forzata da mesi e quindi anche un paio di piccoli di acciuga erano meglio che una legnata nelle gengive!!

Fatto sta che siamo riusciti anche a collezionare 8 pescetti (2 kingfish, 1 ricciola, 5 sconosciuti) in 2 soli giorni e a farceli fuori tutti in un solo pranzo: tutti crudi!!!


Pochi giorni fa invece ci siamo dovuti separare a malincuore da Guido e Patrizia, che hanno ripreso la loro navigazione verso ovest, e che ora saranno a Les Aves o alle ABC. Buon vento ragazzi, è stato un piacere conoscervi e stare un po’ con voi!!!

Per quanto ci riguarda siamo entrati in vera emergenza gas. Incubo! L’umore a bordo è subito sceso sotto le sentine e abbiamo dovuto prendere il problema di petto.

Abbiamo allora scoperto dopo mille ricerche che le nostre bombole Camping-gaz qui le possiamo anche buttare. Usano si lo stesso gas, ma in bombole ben diverse e non di facile reperibilità.

Ma proprio un paio di giorni fa un buon uomo ci ha venduto a caro prezzo una delle sue.

Meno male, perché non si può mica stare col forno spento più di 2 giorni, no?

Viva la panza piena e la cambusa stracolma!!

Matteo

14 febbraio 2008

Derecho derecho


I protagonisti

Sui sedili anteriori:
- il sottoscritto in qualità di pilota ufficiale “Kia off-road adventures”
- Ale: il navigatore. Dotato di cartografia palmare ha anche la funzione di agenzia viaggi e oratore di guide turistiche in real-time

Sui sedili posteriori le femmine:
-Simo: con funzione di madre, massaggiatrice del pilota e bodyguard n°1
-Moni: ufficiale di bordo con compiti amministrativo/contabili, massaggiatrice del navigatore e bodyguard n°2 ex-equo
-Greta: in qualità di figlia, merce di scambio con gli indios, attrazione turistica, sirena antinebbia, antifurto, ecc… naturalmente è scortata dalle bodyguard di cui sopra.

Ultima ma non ultima: Kia, il nostro cattivissimo fuoristrada no-limits, attrezzato per spedizioni oltre i confini del mondo.

Sbarcati in Venezuela con l’obiettivo ambizioso di aprire una nuova pista nella jungla, gli equipaggi di Kudra e Nicolandra organizzano una spedizione ai limiti del mondo conosciuto.

In una settimana che passerà alla storia come il Carnevale dei Gringos i nostri eroi, armati con i migliori equipaggiamenti (infradito, crocs, occhiali da sole) attraversano da nord a sud l’intero paese per raggiungere la remota Gran Sabana, un enorme altopiano su cui si ergono maestosi mattoni di roccia chiamati Tepui, ed esplorano ogni km di asfalto, terra, fango, ghiaccio.

Dal Giornale di Bordo

1° giorno:

lasciamo di buon ora P.to la Cruz a bordo di un autobus con destinazione ciudad Bolivar. 350 km di strada insignificante. È lunedì e tutto è chiuso per i festeggiamenti del Carnevale. Piazzati i bagagli alla posada Don Carlos (tipo B&B) nel centro storico (la città è stata capitale del Venezuela) girelliamo per le strade deserte ed il frequentato lungo fiume (l’Orinoco!).
Viene stabilito il contatto con la popolazione autoctona grazie alla Gretoletti che, con la bionda chioma al vento, richiama ed infiamma le donne di cui pullula la passeggiata.
Naturalmente nel frattempo proseguono le valutazioni del mezzo 4x4: per la nostra avventura extreme serve qualcosa di speciale. Hummer e trattori non reggono quando stressati dalle buche delle piste nella savana! Decidiamo quindi di scegliere il meglio sul mercato del fuoristrada professionale…

2° giorno:

siamo pronti per la seconda tappa di avvicinamento
La colazione a base di uova strapazzate nello strutto montato a neve nell’olio di balena ci permette performance notevoli e in men che non si dica un secondo autobus ci porta fino a P.to Ordaz, città di confine (si fa per dire) dove i filibustieri si incontrano con i commercianti di metalli preziosi. I fumaioli delle industrie di lavorazione del ferro ci distraggono dalle bellezze che ci circondano (superstrade, capannoni, palazzoni).
Grazie alla rete di informatori di Ale scopriamo finalmente dove trovare il mezzo 4x4. L’aeroporto. La contrattazione è veloce, il denaro è all’ultimo posto nei nostri pensieri (!??), i nostri occhi sono pieni dell’avventura che ci aspetta.
Dopo solo 2,65 ore saliamo a bordo di Kia, la nostra rossa!
Accendiamo il motore, innesto il 4x4, do gas e finalmente si parte in sgommata incontro al destino.
Usciamo dal traffico della città e prendiamo la strada che conduce verso sud, verso il vicino Brasile (700 km).
I chilometri scorrono veloci e la nostra rossa si inebria di velocità. 10…30…80…1100…12000. alla velocità della luce, ma stanchi dopo una gara di go-kart, arriviamo a Tumeremo, simpatico paesino in pieno festeggiamento del carnevale. La piazza Bolivar è gremita di bambini (numerosissimi qui in Venezuela) e di adulti.
Scendiamo dal 4x4x4x4, traffichiamo con spuntini, gelati, cambio pannolino e ad un certo punto chiudo l’ultima portiera, mi allontano pochi passi e quindi un neurone in controtendenza mi avverte che forse ho fatto la furbata: la nostra auto si chiude automaticamente dopo pochi secondi dalla chiusura portiere, e le chiavi sono dentro!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Scatta l’emergenza: Ale suggerisce di chiamare le forze dell’ordine. Attraversiamo quindi la piazza e ci presentiamo al posto di polizia.
“Alora, tenemos un problema. Il carro sta serrado. La ciaves sta nel carro. Puede aiutar?”
3 secondi netti e un poliziotto arriva con una gruccia (omino appendiabiti) in ferro.
L’operazione di scasso dell’auto ha del comico: a sostegno ed aiuto della pula arrivano infatti un sacco di personaggi dalle più svariate abilità manuali e chiavi pass-partout. Dopo svariati tentativi gli eroici poliziotti riescono ad aprire la portiera. Grandi!

Ringraziamo i nostri salvatori con un’adeguata fornitura di birra e ci avviamo al primo albergo con 2 stanze libere.
La notte scorre serena, tra la musica in strada e il traffico dell’incrocio su cui si affaccia la nostra finestra senza vetri.

3° giorno

Lasciato Tumeremo superiamo velocemente El Dorado, il Km0,

dove parte l’ultimo tratto di strada prima del Brasile. 350 km di paesaggi spettacolari, montagne imponenti e cascate, cascate, cascate…

Grande Ale che ha sempre capito l'idioma locale quando chiedavamo indicazioni difficilissime ai passanti. Spesso dicevano: "Derecho! Derecho!"
. non abbiamo mai sbagliato strada!

Poco dopo raggiungiamo finalmente la Gran Sabana. Saliamo fino ai 1000 m circa dell’altopiano e la vista si apre in uno spettacolo impressionante.
A perdita d’occhio le colline si snodano dolci una dopo l’altra. E la strada, dritta, le attraversa.

Oggi ci aspetta la grande prova. Aprire una pista che ci porti in una zona a 1400 metri circondata da 7 tepui.
Dopo aver fatto il pieno alla rossa (circa 70 centesimi d’euro), indossiamo le tute ignifughe, i caschi e i guanti da rally.
Un’ultimo spuntino per Greta, che con la bocca piena si lamenta molto meno delle buche e delle ore d’auto, quindi imbocchiamo la pista che ci porterà al villaggio indio di Kavanayen.

Kia si diverte sul terreno sconnesso e ci porta in sicurezza tra guadi, salti e ponti di corde.
70 km di sterrato nel cuore del Venezuela sono come 3 giorni non stop a mirabilandia. Un'esperienza unica, ma ci vuole una buona schiena e preparazione atletica. E noi siamo pronti a tutto!

Nel frattempo, nell’ombra, sui sedili posteriori della rossa si combatte una guerra parallela:

Greta Vs Simo&Moni.

La prima lanciata in pianti strappacapelli e frignite acuta, le altre impegnate anima e corpo ad inventare qualunque magia possa sedare l’uragano biondo.

3 ore e mezzo dopo giungiamo incolumi, ma senza udito, al villaggio. E’ il tramonto, il posto è da confini del mondo, la gente è sorridente e il ristorante è aperto!
Ci abbuffiamo come non mai, coccolati dal gestore del posto, dalla giovane moglie e dai sui 7 figli.
Sgranata imperiale!

4° giorno

In previsione di ore di trekking estremo e di discesa del Rio Aponguao fino alle cascata di Chinak meru (105 metri), anche oggi colazione abbondante. Un ultima passeggiata in paese e poi di nuovo culo incollato al sedile.
Vi propongo un estratto dalla scatola nera di Kia per farvi capire l’approccio professionale dei nostri prodi:
“Greta si sta addormentando…"

“Allora rallento un po’ e tutti zitti…”

“tu tummmmppp!”

“’azz…la buca…”

“UUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!”

“Vabbè, allora accelero, va là.”

Vvvrrrrrummmmmmmmmmm.

Grazie al sofisticato radar di bordo agli infraverdiscoloriti, possiamo viaggiare a circa 233 kn/h su qualunque terreno.
Così diceva la pubblicità. Però non spiegava cosa succede agli occupanti lanciati a 233 kn/h su una pista di motocross. Noi l'abbiamo scoperto.
A questo proposito ringrazio Simo Moni e naturalmente anche la baronessa Alfonsina Gretoletti che hanno resistito stoicamente a tutte le mie accelerate e ai derapage di potenza.

Per discendere il fiume fino alla grande cascata prendiamo a nolo barca e indio conduttore: le canoe sono quelle tipiche, lunghe e strette scavate da un tronco. Stiamo già assaporando il viaggio sulla canoa di 4000 anni fa ma la nostra guida ci porta inesorabilmente verso l’unica barca moderna. Scafo in alluminio e sedili in plastica. E’ un duro colpo, ma sopportiamo.

Di ritorno dalla spedizione, stanchi e soddisfatti del nuovo sentiero aperto a beneficio della comunità monatana, ci rifocilliamo con pollo al BBQ.

Ripartiamo sotto un cielo sempre più grigio e piovoso.
Altri 30 km di sterrato ai limiti della sopportazione di mezzo e uomini ed infine riprendiamo il nastro asfaltato. Prua a sud, l’avventura continua.
Raggiungiamo San Francisco al tramonto ed in serata facciamo un planning dettagliatissimo dei giorni seguenti.

5° giorno

Ci svegliamo sotto un cielo che non dà speranze: grigio e piovoso.
Ripreso il cammino verso sud ci avventuriamo alla scoperta di altre bellissime cascate.


Ma il dramma si sta consumando: Greta ha ormai raggiunto la saturazione da auto. Il livello di decibel è ormai così alto che pian piano cambiano le priorità dei nostri off-road-boyz:
“ci fermiamo qui a mangiare?”
“no, Greta dorme e non ci sono buche. Proseguiamo”

“mi tremano le mani dalla fame! Sono le 3 e mi scappa la pipì! Ci fermiamo? In questo bel ristorantino tipico?”
“Maaaaaaa. No. Greta è così sorridente ora che non possiamo non sfruttare il momento magico”

“UUUUUUUUUUUUUUUUUUUUEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!!!!!!!!!!!!!!”
“ora mi fermo”
“no, ormai è passato, andiamo al prossimo, tanto è tra soli 85 km
Al tramonto siamo 300 km più a nord, nel vano tentativo di allontanarci dalle urla che vengono dal sedile posteriore.
Tornati al km 0, ovvero alle porte di El Dorado, decidiamo di fermarci per la notte. Entriamo quindi in paese. Facciamo un giro di ricognizione e rimaniamo un po’ perplessi di fronte alla quantità di sbarre, serrande, catene, lucchetti, guardie poste a protezione di tutti gli edifici. Ogni singola porta o finestra è protetta.

Anche le stanze dell’albergo sono chiuse, oltre che con la serratura, con catenaccio e lucchettone. All’unanimità decidiamo di ripartire nonostante la stanchezza e i timpani perforati, anzi cesellati da Greta.

Il caso ci riporta a Tumeremo, simpatico paesino….

6° giorno

Il gran consiglio è al completo. Il tempo sempre brutto e Greta sempre più provata dalla rossa ci fanno decidere per la fuga.

Capita l’antifona Kia si lancia sulla strada dritta: oggi arriveremo al punto di partenza: P.to Ordaz.
Con il solito giochetto di aspetta,rimanda,ora no,ora si, alle 3 del pomeriggio, con lo stomaco vuoto come un pozzo asciutto, ci fermiamo finalmente per un’ultima avventura estrema: mangiare 2 vassoi stracolmi di carne al BBQ e verdure. L’impresa ha dell’epico e dopo quasi un’ora, con le mascelle ormai spappolate, ci alziamo vincitori e felici.
Entrati in città cominciamo a seguire le indicazioni delle guide e dei passanti per trovare le poche posade disponibili.
Passano le mezzore e i km, ma di letti per dormire nemmeno l’ombra. 3 ore più tardi, stremati dalle code e dai semafori, spegniamo finalmente motore davanti all’hotel la Casona.
“Disponibili solo una suite-imperiale-emirates e una queen-suite-extra-large-full optional. Fanno cinquecentosessantamilamiliardi di bolivar. Interessa?”
“SI!”
Mettiamo finalmente a nanna la bimba ma, non avendo le forze per spostarci fino al ristorante, decidiamo di cenare in corridoio con rhum e acqua fredda.
La notte passa lentamente, tra musica da disco che arriva nonostante i quadrupli vetri antiproiettile della suite e il mal di testa inevitabile da rhum di dubbia qualità.

7° giorno

La fuga.

Lasciamo presto l’albergo per restituire presto l’auto e arrivare presto in barca per terminare PRESTO il concerto di Greta.
Alle 8.10 siamo al banco del Rent’a’car Orinoco.
Alle 11.40 stiamo ancora aspettando allo stesso banco.
Finalmente riusciamo a consegnare il potente mezzo da esplorazione e ci dirigiamo alla stazione bus.
Nonostante un bus sia in partenza per p.to la cruz in 15 minuti, prendiamo i biglietti per quello di un’ora dopo, che dovrebbe essere più bello e veloce.
Morale: il bus arriva in ritardo e con un buco così nel parabrezza. Partiamo poco convinti ed infatti il conducente non passa i 60 km/h. Inoltre ci obbliga a guardare film violenti tutto spari, ad alto volume. Doppio strazio.
100 km, 3 ore e 2,5 film dopo, fermi a San Felix in stazione, scappiamo dal bus e ci infiliamo in un taxi, su cui percorriamo velocemente gli ultimi 250 km che ci separano dalle amatissime barche.

La nostra morale:

1- per le grandi esplorazioni serve almeno un k-way

2- i tappi per orecchie anti bimba/bomba dovrebbe passarli la ASL

3- il capello biondo tira da matti!

Buon vento!!

Matteo

03 febbraio 2008

Le fatiche dei marinai

Ci siamo. Dopo 2 anni di permanenza nelle piccole Antille, siamo finalmente partiti per la seconda parte del nostro giro del mondo.
Salpata l'ancora a metà gennaio da Grenada contiamo di arrivare all’arcipelago di San Blas entro la fine di maggio.
Le miglia sono pochine, poco più di mille. Rimane quindi molto tempo per il relax e per qualche viaggio in terraferma.
In questo momento siamo a P.to La Cruz, in Venezuela, ed arriviamo da 2 settimane di isole deserte. Ecco una breve cronistoria:
Con grande emozione e aspettative altissime Kudra lascia Grenada con a bordo noi 3 e gli amici Fabio e Camilla (l’equipaggio che ha condotto Kudra l’anno scorso mentre Simo partoriva…) , mentre Ale e Moni sulla loro Nicolandra navigheranno al nostro fianco, per il piacere di stare in gruppo e per aumentare la sicurezza del viaggio (in Venezuela ogni tanto i pirati attaccano barche isolate).
Prontipartenzavia! Il 16 gennaio al tramonto salpiamo l’ancora con prua a sud ovest, destinazione Los Testigos, 3 isolette perse nel mar dei Caraibi dove arriviamo dopo una nottata tranquilla per il poco vento e il poco mare.
E lo spettacolo inizia. L’isola principale, l’unica ad offrire ormeggi sicuri, si rivela bellissima. Alta un centinaio di metri è ricoperta per una vasta area da sabbia. Una megaduna che passa da parte a parte l’isola e crea uno spettacolo incredibile.

Tra bagni, passeggiate e babysittering, troviamo anche il tempo per del sano baratto coi pescatori locali. 2 birre = 1 polpo; 1 pepsi, del cioccolato e poco altro = pesce per tutti!
E la storia si ripete. Al tramonto del 4° giorno alziamo nuovamente le vele e mettiamo prua a nord ovest, destinazione Blanquilla, piccola e bassa isola abitata da un distaccamento della GuardiaCostal e da qualche pescatore.


Al mattino, ormeggiate le barche nella baia principale, prendiamo contatto con la guardia costiera, rappresentata da un piccolo contingente piazzato nel mezzo del nulla dell’isola; ma solo il giorno successivo verranno a bordo per i controlli (si fa per dire…) e darci finalmente il “foglio di via” che servirà poi.
A questo punto cambiamo ormeggio e ci piazziamo sottovento l’isola, davanti a una serie di spiagge fantastiche.


Anche qui non ci resta che rilassarci e dedicarci all’esplorazione (subacquea) alle passeggiate e al cibo!
Eh si, perché sia su Kudra che su Nicolandra i fornelli sono sempre accesi e le menti prolifiche delle signore di bordo non smettono di nutrirci con prelibatezze!
Che vita faticosa! Non vi dico la forza di volontà che serve tutti i giorni per alzarsi da tavola e raggiungere l’ombra della palma in spiaggia…
Per non parlare dei pericoli di cui sono disseminate le isole: iguane, pellicani e…cactus! L’isola è talmente ricoperta di cactus che, nonostante le sofisticate e costosissime attrezzature da esplorazione di cui disponiamo, i nostri prodi tornano feriti terribilmente.


All’apice dello stress da navigatori in vacanza decidiamo dunque di lasciare l’isola in cerca di nuovi orizzonti.
Ci aspettano una sessantina di miglia, andatura al lasco, per raggiungere Tortuga; ancora poco il vento previsto.
E ora parte la confessione: Nicolandra (42 piedi) si sta dimostrando più veloce di Kudra (47 piedi…).
Si naviga con lo stesso passo ma quando ci vien voglia di mettere un po’ d’acqua fra le 2 barche non riusciamo a staccarci dalla rossa.
All’alba e ormai prossimi all’arrivo a Tortuga Nicolandra riesce a passarci. Scatta il tutto per tutto e, a 10 miglia dall’arrivo, alziamo spi nella leggera brezza mattutina.


E pian pianino li ripassiamo e giungiamo “primi” a Tortuga. Che fatica! Ci serviranno almeno 3-4 giorni fermi per recuperare le energie!
Non so bene come descrivere Tortuga. Vi dico solo che la mia reflex digitale non riesce a bilanciare il bianco della sabbia e le foto in automatico vengono sovraesposte!!


Il secondo giorno, stanchi morti per il movimento di mandibole a tavola decidiamo di cambiare ormeggio e ci spostiamo a Cayo Herradura, una anonima mezzaluna di sabbia bianca corallina contornata di reef e pesci colorati. ‘na schifezza!






Qui incontriamo una barca di amici, coppia giovane con 2 bimbi di cui 1 nato in barca (9 metri). Anche loro si stanno spostando pian pianino ad ovest.Sono tante le barche che seguono questa rotta, comoda e facile, saltellando tra le isole. Tuttavia poche sono quelle che si incontrano. Nelle baie difficilmente si sale oltre le 5-6 barche.

E meno male, dopo anni di Antille dove gli ormeggi disabitati sono l’eccezione!


Intanto i giorni sono trascorsi numerosi e ormai la partenza di Fabio e Camilla è prossima.
Ci apprestiamo dunque ad un’ultima navigazione che ci porterà a P.to La Cruz, dove li saluteremo.
Usciamo dall’ormeggio contornato di reef con la prima luce della luna calante; le condizioni meteo sono però troppo deboli e ci obbligano a 8 ore di motore e poca vela. Noia.
Si chiude con l’atterraggio a p.to La Cruz questa prima fase esplorativa.
Salutiamo gli amici in partenza e, ancora con gli occhi pieni dei blu dell’oceano, cominciamo ad organizzare l’esplorazione dell’interno, che si preannuncia densa di emozioni!
Inutile dire che dovremo smaltire le enormi fatiche dei giorni precedenti con cure di sonno, tuffi in piscina e BBQ!

Buon vento a tutti!!

Matteo